Il marmo rosso di Cottanello

Progetto

Vista dei resti della vecchia cava di Cottanello
Vista dei resti della vecchia cava di Cottanello
Cottanello dà il suo nome a una tipica pietra rosata, nota appunto come “marmo di Cottanello”, che in termini geologici si può definire come un calcare marnoso rossastro o rosato appartenente alla formazione della Scaglia rossa. 

La cava di estrazione principale è localizzata a circa un chilometro e mezzo dal paese e la sua attività si è protratta dall’antichità fino ai giorni nostri. La cava fu sfruttata già nell’epoca romana come testimoniato nella Villa di Cottanello ma anche nella cosiddetta Villa di Orazio a Vacone. È stato individuato anche in due ambienti della Casa del Fauno e nell’atrio della Casa di Umbricio Scauro a Pompei, in case sul Palatino a Roma, Ostia, Lucus Feroniae, Albano Laziale e Terracina. 
Nella villa romana appartenuta alla famiglia degli Aurelii Cottae, da cui il nome del paese Cottanello, la pietra è variamente utilizzata: nelle sue diverse qualità più o meno venate, è infatti impiegata per i cubilia di rivestimento delle pareti, per alcune soglie, per i basamenti di portici, lastricati e gradini, per le tessere dei mosaici e per alcuni elementi architettonici attualmente collocati nel peristilio come un fusto, due capitelli tuscanici e un capitello dorico.
Si conosce solamente una scultura realizzata con questo marmo: un grande labrum, ossia un bacino con piedistallo che doveva arredare una residenza senatoria o imperiale. Successivamente fu reimpiegato in numerose chiese della Sabina, tra queste l’antica cattedrale di Santa Maria in Vescovio, prelevato dalla vicina Forum Novum; per i monaci dell’Abbazia di Farfa venne realizzata una fontana con vasca in marmo per il refettorio e nella cattedrale di Poggio Mirteto l’intero presbiterio è abbellito e riscaldato dal colore dolce del Cottanello: l’altare è interamente realizzato con questa pietra, come le balaustre e alcuni elementi architettonici dell’edicola che riempie l’abside. Anche a Montasola le chiese del borgo furono abbellite con elementi architettonici marmorei. 

Le attività di estrazione sembrano interrompersi nel III secolo per poi riprendere nel XVII e XVIII secolo, periodo di maggior fortuna del marmo di Cottanello grazie all’ampio utilizzo che ne fecero Bernini e Borromini.

Nel XVII secolo, infatti, a Roma cominciò a scarseggiare il materiale di spolio, pertanto si rese necessario l’individuazione di nuove pietre decorative per abbellire i numerosi cantieri aperti in città. Fu proprio lo scalpellino e imprenditore Sante Ghetti, a risolvere il problema: egli mostrò alla Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro un campione di “pietra mischia color persico”, il marmo di Cottanello per l’appunto, estratta dalle cave di cui era diventato da poco appaltatore, per 500 scudi a colonna. Il marmo piacque immediatamente per via del suo colore forte e innovativo che soddisfaceva in pieno il gusto ricercato della committenza barocca ma la Congregazione decise di mandare un proprio fattore il quale tuttavia riferì che a Cottanello non c’era materiale sufficiente e che comunque era impossibile trasportarlo perché non vi erano strade. 

Ghetti riuscì nonostante ciò a convincere la Reverenda Fabbrica e ottenne l’appalto per l’esecuzione di ventiquattro colonne di marmo – che alla fine divennero quarantasei – e il 24 febbraio 1650 ottenne una patente per aprire a sue spese una nuova strada e ampliare quella esistente che giungesse al porto di Stimigliano dove si sarebbero imbarcate le colonne. La nuova strada passava nei pressi di Vacone, attraversava Rocchette, lambiva San Polo e Stimigliano e le colonne venivano trasportate da bufale e caricate su enormi chiatte su cui proseguivano il loro viaggio lungo il Tevere fino al porto nei pressi dell’Ospedale di Santo Spirito.
Ancora oggi si possono ammirare in tutta la loro bellezza nelle navate minori della basilica vaticana. Da quel momento venne richiesto altro marmo rosso da Bernini per la realizzazione di 4 grandi colonne per la chiesa di S. Andrea al Quirinale; anche Borromini lo utilizzò in S. Agnese in Agone. E ancora lo si ritrova in S. Ignazio, nella chiesa di S. Maria Maddalena dove è impiegato nel modo più diffuso; in S. Maria degli Angeli oltre a essere usato venne anche riprodotto in pittura. A S. Maria Maggiore si trova il monumento funebre Merlini realizzato in marmo di Cottanello. A S. Maria del Popolo troviamo gli altari dei transetti disegnati dal Bernini e la cappella di S. Sebastiano ugualmente in questo materiale. Ma anche al di fuori di Roma, nei paesi della Sabina e dell’Umbria fu molto utilizzato per acquasantiere, vasche, colonnine, balaustre e altari: ampio uso se ne fece nella chiesa di San Valentino a Terni e nella cattedrale di San Giovenale a Narni.

È importante ricordare anche la realizzazione nel 1722 dei due leoni di Venezia collocati nella piazzetta che ne prende il nome, ovvero piazzetta dei leoncini ubicata vicino piazza San Marco, scolpiti da Giovanni Bonazza.
Fu in ultimo usato nei primi anni del XX secolo nel Vittoriano, a Palazzo Chigi e nel Ministero della Marina a Roma. La cava venne chiusa negli anni ‘70 del Novecento e nel 2018 viene riconosciuta dalla Regione Lazio monumento naturale protetto. 

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