Chiesa dei Santi Giacomo e Martino

Edificio di culto

  • Viterbo (VT)
  • Chiesa dei Santi Giacomo e Martino

Presentazione

La chiesa di S. Giacomo è citata già nel 1236 quando è annoverata tra le chiese minori della città. Non sarà esente dalle lotte che vedranno contrapporsi le più potenti famiglie viterbesi e che renderanno S. Giacomo teatro di violenti scontri. Già elevata a parrocchia, nel XV secolo risulta tra le chiese più ricche di suppellettili, ha un rilevante numero di altari ed è adornata da bei dipinti. Tra il 1429 e il 1473 nella chiesa sono documentate sei cappelle, alcune delle quali di diritto patronato delle maggiori corporazioni di arti e professioni presenti e attive nella Città: la cappella di S. Anna, sotto la cura dell’Arte degli Speziali, quelle di S. Giovanni Battista, di S. Gregorio (sita nel portico della chiesa), dell’Annunziata, di S. Caterina e dei SS. Pietro e Paolo, quest’ultima appartenente all’Arte dei Falegnami. Nel 1470 viene costruito il campanile. Nel 1569 le rendite della chiesa sembrano meno consistenti tanto che la parrocchia è unita a quella di S. Martino. Tuttavia, poco dopo, la chiesa di S. Martino viene demolita per l’apertura della Via Farnesiana; il ricavato dell’espropriazione viene impiegato nel restauro della chiesa di S. Giacomo che, ricostruita su disegno di Giovanni Malanca, torna ad essere sede della parrocchia sotto il duplice titolo dei SS. Giacomo e Martino. La ricostruzione di S. Giacomo si protrae per lungo tempo, essendo necessario demolirla dalle fondamenta. Nelle operazioni di restauro è compresa la ristrutturazione di una parte del campanile e la sistemazione dell’area competente ad una casa limitrofa. Ai lavori parteciparono: papa Gregorio XIII che, nel 1581, autorizza l’affrancazione di canoni e censi per ricavarne le risorse necessarie all’esecuzione dei lavori; Onorato di Ser Mattia, notaio e cancelliere del Comune, che nel 1587 dona una somma per dipingere la cappella dedicata alla Madre di Dio; e lo stesso Comune che, nel 1624, contribuisce con 300 scudi alla ricostruzione della facciata. In questi anni, la partecipazione popolare nella chiesa è testimoniata dalla presenza di una delle tante confraternite del Corpo di Cristo presenti a Viterbo, ma pochi anni dopo, anche S. Giacomo e il territorio di sua competenza subiranno le conseguenze della violenta epidemia di peste che colpirà la Città a partire dal 1657. I secoli successivi vedono S. Giacomo oggetto di una serie di interventi di restauro, uno dei quali sembra risalire al 1828 ed essere volto a rinnovare interamente la chiesa, mentre al 1904 sono datati gli interventi voluti dal vescovo Antonio Maria Grasselli che costringono i fedeli a suddividersi tra le parrocchie confinanti. Ai restauri di quella data ne seguiranno altri che permetteranno la riapertura al culto della chiesa soltanto nel 1950. Oggi S. Giacomo è nuovamente chiusa al culto e destinata ad altro uso.

Bibl.: G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Vol. I, Viterbo, 1907; G. Signorelli, Viterbo …, cit., vol. II, Parte I, Viterbo, 1938; M. Galeotti, L’illustrissima città di Viterbo, Viterbo, 2002; G. Signorelli, Viterbo …, cit, vol. II, parte II, Viterbo, 1940; G. Signorelli, Viterbo …, cit., Vol. III, Viterbo, 1969


Architettura
La chiesa dei Santi Giacomo e Martino sorge all’interno delle mura viterbesi, e prospetta su via Aurelio Saffi. Affianca con il suo prospetto sinistro il vicolo di San Giacomo, con il retro un piccolo vicolo mentre, con il lato destro, confina con edifici privati. L’organismo, ad aula unica e terminazione absidata, è orientato secondo l’asse nord est – sud ovest. L’ingresso avviene nel prospetto orientato a sud ovest, tramite il portale principale preceduto da tre gradini e seguito internamente da ulteriori due che conducono alla quota della chiesa lo spazio dei gradini è delimitato dalla bussola vetrata. Al di sopra si erge la cantoria. È presente un ingresso secondario nella parete di sinistra, dotato di rampa. Le fronti interne della chiesa si presentano intonacate e decorate da un ordine architettonico di paraste ioniche, sormontato da una cornice aggettante su mensole, di colore bianco su fondo giallo chiaro. Al centro delle pareti laterali si trovano frontespizi su paraste sormontati da trabeazione, con superiore fastigio a volute; quello di destra incornicia una nicchia rettangolare. Termina l’aula l’area presbiteriale ricavata nell’abside, delimitata da una balaustra marmorea e rialzata da un gradino. A ridosso del fondo si erge l’antico altare, rialzato da due gradini, e sormontato da un frontespizio con trabeazione sorretta da due colonne corinzie. Ai fianchi dell’altare si aprono due porte che conducono rispettivamente a sinistra, in un vano di servizio, mentre a destra, in un locale che funge da sagrestia. L’aula è sormontata da una volta a botte lunettata, mentre una semicalotta conclude l’abside. L’ambiente è illuminato da finestre semicircolari nelle due lunette, una in controfacciata e l’altra nella parete di sinistra, in quanto la corrispettiva è murata. La facciata è a capanna, semplicemente intonacata e caratterizzata dal grande portale in peperino, di forma rettangolare, concluso da un timpano triangolare; al di sopra, in asse, vi è un bassorilievo all’interno di una grande cornice in peperino; più in alto si apre la finestra a lunetta, priva di incorniciatura. È presente un campaniletto a vela che si erge sulla parete del fianco destro, al di sopra della copertura della chiesa.

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